Con questo articolo inauguriamo la rubrica sull’abbigliamento vintage.
A curarla una collaborazione prestigiosa: la direzione moda del
Barolo Fashion Show
Parlare di Abbigliamento Vintage declinando i vari stili sarebbe semplice, proviamo ad inquadrare però l’argomento in un modo più sistematico.
Il pericolo di cui ci si accorge sempre di più, soprattutto in ambito economico, dove la mera speculazione finanziaria ha soppiantato l’economia reale, è l’accelerazione a tutti i costi. Molti si sono accorti, finalmente, dell’esigenza di riappropriarsi del Tempo, delle cose che contano.
In tempi così difficili è normale voltare lo sguardo indietro e cercare di capire dove si è sbagliato, che cosa sia da cambiare per migliorare davvero, per avere un Progresso reale, con la “P” maiuscola e non una semplicistica accelerazione verso il danno irreparabile.
Forse la vera “rivoluzione” di oggi sarebbe quella di “tornare indietro”?
Non lo sappiamo, lasciamo volentieri la discussione sui temi alti a chi ne detiene le competenze avvertendo, però, pressante l’esigenza e ancor più la speranza, che arrivi presto una nuova visione di lungo termine, una nuova via che risolva i tanti problemi di una società “iper”.
La Linea obliqua di Cristian Dior – anni ’50
Anche la Moda, uno dei settori storicamente meno green, si è finalmente accorta dell’esigenza di un cambiamento.
Non solo le nuove generazioni di stilisti e fashion designer ma anche molti dei grandi Brand pongono sempre più attenzione alla sostenibilità.
Puntando al cuore dell’argomento, il Fashion Vintage, va detto che non solo i giovani sentono un’esponenziale voglia di un ritmo più lento, di tessuti più preziosi, di cuciture effettuate con attenzione, di abiti tagliati da sarti esperti, è anche l’aspirazione all’unicità.
Citando un vecchio articolo, apparso in “tempi non sospetti” su Donna, l’inserto de La Repubblica, il fatto che uno dei trend più forti della Moda sia il Vintage “potrebbe sembrare una contraddizione in termini: proprio questo invece conferma l’importanza della forma sulla sostanza. Perciò fanno riflettere le parole dello scrittore Simon Reynolds quando dice che “il futuro è morto. Il Retro è il futuro” e che l’ubiquità del passato della cultura contemporanea è di fatto un malessere che potenzialmente mina tutto ciò che è di qualità e originale.”
Anche oggi e lo sarà per i prossimi anni certamente, l’abbigliamento vintage è “cool” ed è un progetto circolare che appartiene a tutti.
Ma cos’è il Vintage?
Tutto ha origine negli U.S.A. dopo la seconda guerra mondiale. Dopo un lungo periodo di sofferenza, gli americani scoprono il consumismo, relegando gli abiti usati alle persone povere, a chi viveva ai margini della società. La trasformazione avviene negli anni ’60 con l’arrivo degli hippies. Furono proprio gli appartenenti a questa “moda” a riscoprire gli vecchi abiti per renderli simbolo di un’era.
A New York nel 1965, viene aperta la prima boutique chiamata Vintage chic che proponeva un’accurata selezione di abiti storici e antichi ma che in realtà avevano pochi decenni. Riscosse un successo incredibile.
Il giornale New York Times analizzando la situazione scrisse: “Sono le donne intelligenti quelle che hanno scoperto questo mondo, fatto di qualità, tessuti, manodopera che l’industria di questo tempo non riesce ad offrire”.
Potrebbero essere parole scritte la settimana scorsa!
Molte persone però non conoscono fino in fondo le differenze tra l’abbigliamento vintage e quello definibile “retrò”, ci sono differenze significative.
La diversità sta nell’autenticità storica del pezzo. Rétro è qualcosa che ha l’aspetto di essere d’epoca, che strizza l’occhio al vintage. Per essere però davvero Vintage un capo o un accessorio moda dev’essere un oggetto originale che ha almeno 20 anni (in Inghilterra lo considerano Vintage solo se “vecchio” di almeno 25).
Si riferisce all’età dell’oggetto, piuttosto che allo stile di esso. Pertanto, anche se una creazione moda potrebbe avere un vecchio stile, non è detto che sia vintage.
Va anche detto che non tutto ciò che sia stato realizzato tra il 1920 e il 2000 (1995 in Inghilterra), anche se “tecnicamente” lo è, abbia un fascino Vintage.
Una normale camicetta della stessa epoca, ad esempio, non ha lo stesso fascino di un soprabito degli anni ’60.
Al di là delle definizioni, sta di fatto, che oggi gli abiti usati fanno concorrenza alla fast fashion.
Le statistiche segnalano un mercato in incessante crescita. Ad esempio il volume del mercato degli abiti usati negli Stati Uniti nel 2018 è stato pari a 24 miliardi di dollari: una cifra impressionante che i cittadini USA hanno speso nei mercatini dell’usato, nei thrift shop, negli online shop di abiti di seconda mano.
La valutazione dell’importanza di questo mercato diventa ancora più chiara se si paragona con quanto mercato abbia generato la fast fashion che, sempre nel 2018, ha generato negli USA un mercato da 35 miliardi di dollari.
Non solo quindi un ottimo risultato per il mercato di abiti usati, ma anche l’affermazione di un trend in costante crescita che pone la second hand fashion come principale (o forse unico) concorrente per la fast fashion.
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